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La sanità è un business a spese del malato

29 Luglio 2016 Considerazioni dal mondo vegan

La sanità è un business ma tu malato te ne dimentichi appena entri in ospedale

Ricorre spesso il concetto che negli ultimi 60 anni è aumentata l’aspettativa di vita e che questo è da attribuirsi prevalentemente alla medicina.

È vero in parte nel senso che la medicina attraverso i farmaci ha allungato la sopravvivenza dell’individuo ma certo non la sua qualità di vita.
I medicinali hanno permesso la convivenza con malattie croniche ma non il loro superamento.
Gli ultra sessantacinquenni prendono sistematicamente farmaci per le diverse patologie di cui soffrono che potrebbero essere scongiurate per tramite una sana prevenzione (da non confondersi con la diagnostica preventiva) che i medici sovente segnalano limitandosi a prescrivere farmaci su farmaci.

L’idea che s’invecchia per l’insorgere di malattie determinando così la presunzione che l’invecchiamento sia una patologia è una deformazione culturale che in questi ultimi 30 anni ha permeato ogni azione sanitaria.

Ricordiamoci che la sanità è il più grande mercato, la più grande industria mondiale il cui giro di affari ha percentuali nell’economia dei paesi.

Ricerche dello staff del Prof. Franco Berrino, ad esempio, ha potuto compiutamente riscontrare che un’economia che punta alla crescita porta ad un ambiente obesiogeno (vita sedentaria, junk food, ecc.) che a sua volta produce un aumento delle malattie croniche con il conseguente aumento del mercato della sanità, specialmente nelle forme più detrimenti.
Possiamo tranquillamente parlare di circolo vizioso al punto da dover annoverare l’ospedalizzazione tra le maggiori cause di malattie.
Letteralmente, ci si ammala perché ci si è ricoverati in struttura ospedaliera.

Le infezioni ospedaliere, ad esempio, sono la complicanza più frequente e grave dell’assistenza sanitaria.

Si definiscono così infatti le infezioni insorte durante il ricovero in ospedale, o dopo le dimissioni del paziente, che al momento dell’ingresso non erano manifeste clinicamente, né erano in incubazione.
Sono l’effetto della progressiva introduzione di nuove tecnologie sanitarie, che se da una parte garantiscono la sopravvivenza a pazienti ad alto rischio di infezioni, dall’altra consentono l’ingresso dei microrganismi anche in sedi corporee normalmente sterili.
Un altro elemento cruciale da considerare è l’emergenza di ceppi batterici resistenti agli antibiotici, visto il largo uso di questi farmaci a scopo profilattico o terapeutico.

Circa l’80% di tutte le infezioni ospedaliere riguarda quattro sedi principali: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio, le infezioni sistemiche (sepsi, batteriemie).
Le più frequenti sono le infezioni urinarie, che da sole rappresentano il 35-40% di tutte le infezioni ospedaliere.

L’aumento delle infezioni sistemiche è la conseguenza di un graduale aumento dei fattori di rischio specifici, in particolare l’uso abbondante di antibiotici e di cateterismi vascolari.

La resistenza agli antibiotici sono una vera e propria piaga

Tra i batteri con maggiore resistenza agli antibiotici sono Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (-oxacillina), gli pneumococchi resistenti ai beta-lattamici e multiresistenti, gli enterococchi vancomicina-resistenti.
Tra i gram-negativi, le resistenze principali sono le beta-lattamasi a spettro allargato in Klebsiella pneumoniae, Escherichia coli, Proteus mirabilis, la resistenza ad alto livello alle cefalosporine di terza generazione tra le specie di Enterobacter e Citrobacter freundii, le multiresistenze osservate in Pseudomonas aeruginosa, Acinetobacter e Stenotrophomonas maltophilia.

 

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