Un’occhiatina sul Junkfood
Il cibo più pericoloso in assoluto è quello nascosto, che non compare sull’etichetta.
Al momento, ad essersi guadagnato il titolo di peggior ingrediente nascosto è “l’olio di fogna cinese”.
Sono stati i giornalisti d’inchiesta a portare alla luce la sordida pratica per cui l’olio di scarto viene riciclato e venduto come olio di cucina.
Consumato da almeno il 10% dei cinesi (in genere le famiglie più povere e chi compra cibo dagli ambulanti), è prodotto con un processo di ebollizione e ripulito con l’aggiunta di sostanze chimiche industriali.
Il nome deriva dal fatto che viene estratto dalle fogne e dagli scarichi, setacciato per eliminare residui solidi sgradevoli e poi lavorato in laboratori casalinghi.
Il settore è redditizio e in crescita, anche se l’olio in questione contiene notoriamente sostanze cancerogene e chissà quali e quante affezioni scaturisca.
L’anno scorso la polizia cinese ha smantellato un’organizzazione che ne aveva distribuito più di tre milioni di litri in un centinaio di città.
Inutile dire che questo genere di azioni compromettono ancora una volta l’immagine della cucina cinese moderna.
Nel 2009, dopo le proteste degli USA perché il latte d’importazione cinese aveva un sapore strano, fu varata una legge che vietava simili pratiche. Venne fuori che il latte conteneva melammina (una resina per mobili).
Nel 2014 l’ennesimo scandalo, che ha coinvolto svariate aziende alimentari: il loro fornitore principale aveva riciclato e reinserito nel processo di produzione carne di maiale, pollo e manzo già scartati, in alcuni casi scaduta da più di un anno.
Ma il cibo chimico e nocivo non l’hanno certo inventato i cinesi.
L’industrializzazione su vasta scala del settore alimentare cominciò dopo la seconda guerra mondiale nel paese dell’innovazione perenne, gli Stati Uniti.
I surrogati vegetali ottenuti con processo chimico che migliorava le qualità strutturali, allungava il periodo di conservazione e garantiva maggiori profitti ne sono un valido esempio.
Stiamo parlando delle Margarine meglio note come “grasso vegetale”, considerate al tempo un miracolo dell’inventiva americana.
Il pubblico non veniva messo a conoscenza del fatto che per unire le molecole del grasso vegetale serviva un processo chimico, l’idrogenazione, che creava nuovi legami chimici artificiale e resistenti, molto difficili da spezzare con il calore o attraverso il metabolismo diventando così una sostanza estremamente nociva.
L’industria finì con utilizzare queste sostanze chimiche in una grande varietà di cibi industriali e di surrogati di burro.
Stiamo parlando dei micidiali grassi trans
All’inizio degli anni novanta il 95% dei biscotti e il 100% dei cracker e della maggior parte degli snack contenevano grassi trans.
Un’intera generazione è cresciuta con le “meraviglie” della margarina.
I primi rapporti sui pericoli di quelle manipolazioni chimiche, risalenti agli anni ottanta, furono sistematicamente ignorati.
Si scoprì che bastava una piccola quantità di grassi trans – l’1 o 2% delle calorie giornaliere- per far salire alle stelle il livello di grassi e triplicare il rischio di malattie cardiache e di morte improvvisa, senza contare l’aumento dei tumori.
In base alle stime, solo in America ogni anno morivano 250.000 persone a causa dal consumo dei grassi trans.
Oggi, nella maggior parte dei paesi occidentali i grassi trans sono ridotti o vietati tuttavia non possiamo esimerci dal constatare che per decenni siamo stati sottoposti a pubblicità ingannevoli e all’assenza complice di chi era preposto ai controlli.
Il comportamento vergognoso di una certa industria alimentare, sempre in cerca di espedienti chimici a basso costo, unitamente a quello scriteriato e suicida di una larga parte di popolazione che consuma cibi in funzione del gusto e della loro economicità, alimentano, è proprio il caso di dire, quel circolo perverso in cui vittima e carnefice sono stretti in un abbraccio mortale.
In oltre, una persona che consuma alimenti industriali o cibo spazzatura, privo di fibre e nutrienti, quando dal proprio intestino riceve segnali per indurla a mangiare, in modo da recuperare i “fattori mancati”, provoca un circolo vizioso di denutrizione e obesità dal momento che risponderà a quel segnale replicando quel comportamento alimentare errato.
Un esempio classico è il volersi dissetare attraverso una bibita zuccherata: più se ne beve più il corpo lancerà segnali di bisogno d’acqua per diluire il gravame di zuccheri ulteriormente introdotti dalla bibita appena ingerita.
Possibile che siamo così stupidi? È cosa risaputa che i cibi industriali ricchi di grassi e zuccheri ci fanno male eppure continuiamo a mangiarne.
Tra gli svariati motivi che gli studi scientifici hanno preso in esame, ve n’è uno particolarmente suggestivo e per niente campato in aria che vale la pena menzionare.
La colpa potrebbe ricadere sui microbi
Diversi studi e ricerche hanno dimostrato che i microbi possono condizionare l’umore, l’ansia e lo stress per mezzo delle sostanza chimiche da essi prodotte.
Ciascuna specie microbica predilige determinate fonti di cibo, che le permettono di nutrirsi e di riprodursi.
La spinta evolutiva induce i microbi a conservare la loro nicchia ecologica e a fare di tutto per assicurarsi la sopravvivenza, per esempio inviando segnali all’essere umano ospitante perché continui ad assumere il cibo spazzatura che li fa proliferare.
Questa teoria non è affatto peregrina.
Il meccanismo è stato provato in laboratorio sui topi dimostrando che i microbi hanno la capacità di influenzare il loro comportamento alimentare.
Sull’uomo ancora non è provato ma è possibile che valga soprattutto per le specie tossiche che prendono il sopravvento nell’intestino di alcuni individui.
In natura abbondano i casi di microbi minuscoli che controllano un organismo ospitante più grande:
basti pensare ai funghi che si insinuano nel cervello delle formiche, trasformandole in “zombie” per asservirle ai loro perfidi scopi. Le formiche vengono indotte ad arrampicarsi sulle piante per rosicchiare la pare inferiore delle foglie, e in questo modo fanno cadere le spore dei funghi sulle formiche sottostanti non ancora infette.
Altri batteri obbligano i moscerini della frutta a produrre più insulina, per accumulare grasso che aiuta i batteri a moltiplicarsi ma di certo non fa bene ai poveri moscerini.
L’idea che i microbi condizionino il nostro comportamento alimentare fornendoci ricompense neurochimiche che ci spingono a mangiare più hamburger non è così strampalata, anzi, per i nostri batteri altamente evoluti e specializzati dovrebbe essere cosa facile.
(fonte: Bio Essays 2014 pp.940-49)