Coloro i quali hanno transitato dalla dieta alimentare onnivora a quella vegan, mossi da sano scetticismo e timorosi di arrecare danni alla propria salute (ironia della vita), hanno studiato e approfondito ogni aspetto di questa nuova dieta compiendo così, senza accorgersene, anche un nuovo e strabiliante percorso cognitivo nei riguardi della loro esistenza, raggiungendo in questo modo quella che io chiamo la “consapevolezza vegan“.
Si sono ritrovati cioè a mettere in discussione tutte le loro precedenti convinzioni scoprendo che tutto quanto da loro era stato considerato assoluto ed immutabile non era che il risultato dei condizionamenti ricevuti acriticamente dall’ambiente familiare e sociale durante tutti i primi anni della loro vita.
Lo definisco effetto “scendere dalla giostra” ovvero sia scoprirsi di aver guidato un’autovettura il cui percorso, invece che libero, era prestabilito da binari sottostanti il cui termine era un precipizio.
Tutto ciò, se alla prim’ora è destabilizzante successivamente diventa un fattore di crescita e di forza.
E in ultimo, se proprio si deve piangere non è per il latte versato ma per la povera mucca sfruttata.
Ciò premesso, è sempre opportuno ricordare che, tramite i nostri sensi, con papille gustative ripulite dai condizionamenti alimentari odierni, sapremmo sempre cosa è buono e cosa non è buono mangiare.
Gli animali liberi, di fatti, lo fanno da sempre pur misconoscendo valori, composizioni e bilanciamenti dei nutrienti.
Che poi, a pensarci bene, quale onnivoro compie le sue scelte alimentari in ragione degli apporti nutrizionali?
Invece, i vituperati vegani sono i nuovi alchimisti dell’alimentazione, custodi e divulgatori dell’antica sapienza sono i fondatori della futura scienza medica da applicarsi giammai in nosocomi ma rigorosamente a tavola.