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L’olocausto di ferragosto

17 Agosto 2016 Considerazioni dal mondo vegan

L’olocausto di ferragosto

Come tutte le cittadine di mare, anche quella in cui vivo nei mesi di Luglio e Agosto riceve un numero così elevato di villeggianti da avere costantemente le strade ed i parcheggi perennemente intasati dalle auto.
Tuttavia, se per un verso si tratta di una seccatura, dall’altro, complici anche le ferie lavorative, mi costringe ad utilizzare la bicicletta per tutti quegli spostamenti che devo compiere in città.
Fortunatamente il Comune, prima della grande crisi e del taglio degli investimenti utili (già miseri per la verità), aveva fatto in tempo a realizzare una godibile pista ciclabile che corre lungo la litoranea per almeno 5 km.
Il suo tratto più suggestivo è quando la pista fiancheggia un giardino pubblico che fa da lussureggiante cornice alle spiagge. Sempre ben curato, regala un morbido e fresco tappeto verde su cui camminare piacevolmente scalzi ed è rigoglioso di ombricolose piante sotto cui ripararsi nelle ore più bollenti.

Il 14 agosto scorso però,

questo luogo a tratti paradisiaco, è divenuto scenario di massacri e di olocausti per il piacere sanguinolento di villeggianti intenti a festeggiare la vigilia del ferragosto con decine di parti di bue e maiale da arrostire su bracieri di fortuna.
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Mi sono ritrovato a pedalare passando in rassegna decine di gruppi di persone (per lo più canuti male in arnese dalle ipertrofiche pance) sedute sulle loro seggioline di plastica bianca, lungo i tavoli che cianciavano delle loro proverbiali abbuffate in attesa che il cuoco di turno gli allungasse le libbre di carne rubate da chissà quale povero schiavo nato, cresciuto e morto per soddisfare la bramosia autodistruttiva di questi hominis sapiens.
Mi sono finanche imbattuto in un gruppo di estremisti onnivori arrivati ad approntare una vera e propria macelleria da campo!

Per almeno 500 metri si alternavano fuligginose nuvole dallo straziante odore acre della morte accompagnati dal macabro vociare festaiolo degli astanti.
Come se nelle loro precedenti 10 ore di vita non avessero addentato un qualche tipo di carne i banchettanti gioivano e brindavano all’abbondanza completamente indifferenti alle affliggenti sofferenze che quella loro festa aveva significato per innocenti creature.
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Ancora più grottesco era notare

come molti di questi erano accompagnati da graziosi cagnolini alcuni dei quali erano tenuti amorevolmente tra le braccia durante il pasteggio.
Se qualcuno avesse detto loro che il trancio di carne masticato tra i denti era quello del loro amato Puffi, Trudy o Lessie chissà a quale strappalacrime scena avrei assistito.
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Probabilmente il cuoco sarebbe stato immobilizzato e preso a calci, col benestare dei genitori, anche dai bambini.
Però, un Vitello no! Lui non è che una fettina da condire.

Completamente sconvolto, pedalavo incontrando sul mio percorso decine di tavolate nessuna delle quali che proponesse cibo che non fosse di cadaveri!

Com’era possibile tutto questo?

Proprio adesso che anche l’insipiente televisione mostra le barbare condizioni degli allevamenti intensivi unitamente alle gravissime patologie che il consumo carneo sta infliggendo all’umanità ci sono persone che se ne fregano e fanno finta di nulla?
Una delle possibili risposte è che c’è una parte di umanità che vive sulle spalle degli altri e del pianeta come parassiti.
Si pensa che “spiega e rispiega” costoro impareranno a stare al mondo, capiranno che quando non ce ne sarà più per l’ospite morirà anche quello stupido del parassita, pensando così, con questa semplice considerazione, di scongiurare la débâcle!
Si da il caso però che il parassita, sebbene astuto e profittiere, non si distingua molto per l’intelligenza e, soprattutto, per la sua capacità di pensare al domani. Sarebbe contro la sua stessa natura.
Il parassita succhia il sangue fino a quando ce n’è. Poi passa ad un altro ospite punto e basta, e quando non c’è più alcun ospite si estingue!
Esiste una sola categoria predatoria capace di queste raffinatezze, questa è la classe medica.
Essa non ti vuole troppo in salute perché tu possa fare a meno di lei ma non ti vuole nemmeno troppo malato da perderti definitivamente.

 

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